Spesso ci si trova a riflettere su quanto la moda sembri disconnessa da ciò che succede nel mondo che la circonda. Se da una parte ci sono brand e designer fortemente attivi nella lotta ai disagi umani, ambientali ed ecosostenibili, una fra tutte la stilista inglese Vivienne Westwood, dall’altra sembra che dalle grandi multinazionali alle piccole imprese familiari che caratterizzano questo settore vi sia una totale assenza di “responsabiltà sociale”.
I giovani forniscono spesso una risposta alle mancanze delle generazioni precedenti, ed é proprio questo che la designer Angela Luna ha cercato di fare con il suo brand ADIFF. Diplomata alla Parsons School of Design, già sentiva durante i suoi studi la necessità di andare oltre il semplice fattore estetico legato alla moda.
Sensibile alle immagini dei rifugiati in fuga dal terribile conflitto in Siria, costretti spesso ad interminabili viaggi via terra ed a dormire per strada, esposti ad intemperie di ogni genere, decide di creare un capo, che si possa agevolmente trasformare in una vera a propria tenda per dormire.
Dopo svariati tentativi e progetti di design che farebbero invidia anche ad un ingegnere, nasce dunque un cappotto unisex, senza taglia e impermeabile, che in poche semplici mosse può diventare una tenda o un letto per rifugiati e senzatetto.
I prototipi sono stati testati in Grecia proprio dai migranti stessi e lo scopo di ADIFF é quello di creare un modello di business simile a Tom’s Shoes, il quale dona un paio di scarpe per ogni paio acquistato. Lo stesso farà Angela Luna: per ogni capo venduto su Kickstarter ne verrà infatti donato uno ad un migrante.
Precursore e fonte d’ispirazione, come spesso l’arte é stata per la moda, Lucy Orta, artista contemporanea britannica che assieme al marito architetto Jorge ha fondato lo “Studio Orta”. La formazione da fashion designer le ha permesso di concepire nel suo lavoro una perfetta fusione di body art, moda e architettura.
Attraverso sculture, pitture, installazioni, videoproiezioni, costruzioni di oggetti, tipografie, performance e interventi pubblici, i coniugi Orta invitano lo spettatore a concentrarsi su problemi, quali la comunità e l’esclusione sociale, l’abitazione, la mobilità, lo sviluppo sostenibile e i diritti umani.
Prendono così vita, a partire dal 1990, le cosiddette “architetture con l’anima”, oggetti che rispondono ad una sguardo critico sulle zone più sensibili della società suggerendo stili di vita alternativi.
Gli esempi più emblematici sono i progetti “Refuge Wear” (1992-1998), involucri tecnologici, che permettono la sopravvivenza e fanno riflettere sulla figura del rifugiato, indagando il corpo e le sue relazioni con lo spazio, “City Intervations”, performance volte a focalizzare l’attenzione sulla presenza dei senza tetto nelle città, “Body Architecture” (1994-1998), tende che diventano cappotti, zaini che diventano sacco a pelo o tende, prototipi di strutture autonome dal punto di vista dell’alimentazione elettrica, ”’Nexus Architecture” (1994-2002), in cui un numero variabile di persone indossa tute collegate tra loro, creando strutture modulari e collettive che esprimono il concetto di legame sociale e “Anctartic Village- No Borders” (2007), opera-simbolo della condizione di coloro che fuggono dal proprio Paese occupato da conflitti politici e sociali.
Moda e arte dunque vogliono lanciare un forte messaggio sociale in difesa di coloro che non hanno voce per farlo da soli.