Laos, Asia, 1964: iniziano le missioni di bombardamento che gli Stati Uniti portano avanti fino al 1973. L’epilogo è a dir poco catastrofico: 50.000 civili uccisi o mutilati da incidenti causati da ordigni inesplosi (UXO). Ad oggi si calcola che siano più di 270 milioni le bombe a grappolo che sono state lanciate sullo Stato e 80 milioni di esse continuano a trovarsi sotto terra, rischiando di scoppiare da un momento all’altro. In quarant’anni solo l’1% delle bombe inesplose sono state fatte brillare, ma se i ritmi sostenuti al fine di debellare gli ordigni bellici sono questi, lo sviluppo del paese tarderà ad arrivare. Di fatti le bombe inesplose limitano la costruzione di infrastrutture, inoltre impedendo l’espansione delle coltivazioni, sono causa di carestia.
La popolazione del Laos, tuttavia, ha sviluppato col tempo un’abilità tanto innovativa quanto ecologica: il riciclo delle bombe che sono esplose.
Tramite una tecnica detta a staffa (l’alluminio fuso ricavato dalle bombe, viene colato dentro stampi di argilla) la gente ottiene oggetti di vario tipo come utensili da cucina e gioielli.
Quello del Laos è un popolo che non dimentica, ma che, guidato dallo spirito di sopravvivenza, aguzza l’ingegno e sfrutta la morte per facilitare la vita di ogni giorno. Tuttavia da sempre la guerra stimola la creatività, e il caso della popolazione dello Stato asiatico non è isolato; Basti pensare a cosa accadeva durante la Seconda Guerra Mondiale quando il motto era “arrangiarsi e riciclare”.
E così lenzuola diventavano camicie, coperte venivano trasformate in giacche e chi aveva fantasia realizzava stupendi abiti “patchwork” con stracci e pezzi di stoffa di vario genere.

I gioielli ricavati dalle bombe intrigano, perché esorcizzano la guerra. C’è chi l’ha provato sulla propria pelle quando si è recato in Laos. Massimo Moriconi e la moglie Serena Bacherotti hanno pensato di importare in Italia i singoli pezzi grezzi lavorati direttamente sul posto, per perfezionarli nella nostra terra e rivenderli.
E’ nata così la “No War Factory”: create per uccidere, riciclate per aiutare.
I due, acquistano i manufatti dagli artigiani -contribuendo allo sviluppo economico dei luoghi interessati- e li portano in Italia dove vengono impreziositi con pietre e argento dall’orafa Francesca Barbani. Il 10% netto del ricavato della vendita dei prodotti viene devoluto per acquistare filtri per rendere potabile l’acqua nei villaggi del Laos e in parte all’associazione MAG per lo sminamento del territorio. 
Il design lineare e le forme minimal che caratterizzano i monili della “No War Factory” fanno si che ogni pezzo realizzato da mani esperte, sia unico e inimitabile.
I gioielli della factory di Viareggio si caricano di un forte valore simbolico perché sono un frutto saporito nato durante la siccità, quando si doveva sfruttare al massimo ciò che si aveva a disposizione. L’arte del sapersi reinventare non è da tutti, Il Laos è stato capace di rispondere alla Guerra nel migliore dei modi: “Voi ci bombardate seminando morte? noi con le vostre bombe ci creiamo cose belle e utili”.

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Fase di estrazione degli ordigni, courtesy of No War Factory

No War Factory resti di bomba

Resti di bomba, courtesy of No War Factory

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Resti di ordigni bellici, courtesy of No War Factory

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Resti di ordigni bellici, courtesy of No War Factory

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Resti di ordigni bellici, courtesy of No War Factory

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Ciondolo realizzato con resti di bombe, No War Factory

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Ciondoli realizzati con resti di bombe, No War Factory

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Anelli realizzati con resti di bombe, No War Factory

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Anelli realizzati con resti di bombe, No War Factory

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Bracciali con pietre, No War Factory