Di recente è arrivato anche nei nostri cinema il documentario “Franca: Chaos and creation”, dedicato alla storica direttrice di Vogue Italia Franca Sozzani, recentemente scomparsa, da suo figlio Francesco Carrozzini.
Le sue sorprendenti e spesso controverse copertine non solo hanno infranto le regole, ma hanno fissato uno status nella moda, nell’arte e nel business nel corso degli ultimi venticinque anni. Dalla famosa “Black Issue” alla ” Plastic Surgery issue“, Franca Sozzani è sempre stata profondamente impegnata nell’esplorare tematiche off-limits, al fine di scuotere lo status quo e ridefinire, occasionalmente, il concetto di bellezza.
Quanto siamo disposti a sacrificare pur di seguire la continua chimera della bellezza perfetta? Quante le problematiche psico-fisiche che ne scaturiscono?
Bulimia, anoressia, tendenze suicide, uso e abuso di farmaci, droghe e stupefacenti.
Come può un amore eccessivo per il proprio corpo trasformarsi in un odio e disprezzo altrettanto forte per esso?
Una delle ultime fashion news è stata la presenza del pantheon delle grandi top degli anni ’90 alla sfilata commemorativa per Gianni Versace. Con la differenza che invece di essere sedute nel parterre, questa volta le modelle erano tutte insieme in passerella. Naomi Campbell, Claudia Schiffer, Cindy Crawford, Carla Bruni e Helena Christensen, indossando un omaggio alla celeberrima maglia metallica del grande stilista, hanno infatti chiuso la sfilata di Versace nella posa di cinque dee pronte ad essere venerate. Alla soglia dei 50 anni e con una forma fisica che farebbe impallidire ogni donna, c’è stato comunque chi ha avuto da ridire sulle ginocchia non così toniche della Crawford o sulle spalle troppo allenate della Christensen.
Riguardandole a me è invece venuta voglia di ricercare le loro foto nel periodo d’oro, quando Armani, Thierry Mugler, Valentino e appunto Gianni Versace se le contendevano. E mi sono sorpresa di quanto i loro fisici fossero decisamente più armoniosi e pieni delle modelle attuali. Oggi probabilmente alcune di loro sarebbero considerate “curvy”.
Eppure già agli inizi del 2000 le modelle dai fisici efebici e al limite dell’anoressia erano ricercatissime (Kate Moss docet).
Spesso a vederle in quelle copertine, accasciate, quasi sofferenti, ci si chiedeva chi mai potesse considerare quel genere di bellezza realmente attraente. Nonostante ciò designer del calibro di Alexander Mc Queen e giornaliste come Carine Roitfield, ex direttrice di Vogue Paris, ne hanno fatto il loro pane quotidiano.
Heroin Chic // Gallery
Probabilmente la stessa domanda se la sono posta i due fotografi russi Loral Amie e Gigi Ben Artzi nel realizzare “Downtown Divas”, uno dei più scioccanti reportage mai realizzati.
Protagoniste di questo breve video di 7 minuti delle prostitute eroinomani di una sconosciuta città russa, che, magrissime e piene di tagli e lividi, si muovono abbigliate con capi di Louis Vuitton, Miu Miu e Alexander Wang.
La cosa ancora più sconcertante è che se non ci si focalizzasse sulle ferite delle ragazze, questo potrebbe essere il classico editoriale di moda da rivista più o meno alternativa sul genere Juergen Teller.
Gli sguardi assenti, quasi persi nel vuoto, i movimenti senza forza, i capelli arruffati: ognuno di questi elementi lo avremo probabilmente già visto in un servizio del genere Heroin Chic.
Heroin chic è stato, per l’appunto, un trend reso popolare a metà degli anni ’90 e caratterizzato da pelle chiara, cerchi scuri sotto gli occhi, un corpo molto magro, rossetto rosso scuro e una struttura ossea angolare. Tratti emaciati e androginia erano le peculiarità di questo look che è stato una reazione all’aspetto “sano” e vibrante di modelli come Cindy Crawford, Elle Macpherson e Claudia Schiffer. All’epoca in cui emerse l’eroina chic, l’immagine popolare dell’eroina stava cambiando per diverse ragioni. Il prezzo dell’eroina era diminuito e la sua purezza era aumentata drammaticamente. Negli anni ’80, l’epidemia di AIDS aveva fatto iniettare eroina con aghi impuri sempre più rischiosi. L’eroina disponibile era diventata più pura e lo sniffare divenne la modalità più comune. Questi cambiamenti hanno ridotto lo stigma che circonda il farmaco, consentendo all’eroina di trovare un nuovo mercato tra la classe media-alta.
L’heroin chic proponeva uno stile rilassato ed emaciato che è stato alla base della campagna pubblicitaria di Calvin Klein del 1993 per il suo profumo Obsession con Kate Moss. Il regista e attore Vincent Gallo ha contribuito allo sviluppo dell’immagine attraverso i suoi scatti di moda per Calvin Klein. La tendenza alla fine svanì, in parte a causa della morte correlata alla droga del famoso fotografo di moda Davide Sorrenti, che contribuì alla diffusione di questo trend. Nel 1999 Vogue ha soprannominato la supermodella brasiliana Gisele Bündchen “Il ritorno del modello sexy” e l’inizio di una nuova era.
La moda dell’heroin chic ha suscitato molte critiche e disprezzo, soprattutto da parte dei gruppi anti-droga. Stilisti, modelli come Kate Moss e Jaime King, e film come Trainspotting, Pulp Fiction sono stati accusati di rendere glamour l’uso di eroina. Anche il presidente americano Bill Clinton ha condannato il fenomeno dell’heroin chic. Altri commentatori, invece, negano che le immagini di moda rendessero la droga stessa più attraente.
La verità è che ancora oggi molti aspetti che hanno contraddistinto questo fenomeno della moda anni ’90 continuano ad esistere, come l’eccessiva magrezza. E non importa se Francia e California promuovono leggi anti-ana per le passerelle e obbligano a segnalare le foto ritoccate nelle campagne pubblicitarie. Non importa se sempre più adolescenti sono vittime di bulli cyber e reali per il loro aspetto fisico e per questo spesso cadono in spirali autodistruttive. Non importa quante Bette Ditto e Ashley Graham possano invitarci ad essere fiere del nostro corpo, qualunque esso sia.
La moda come sempre è lo specchio della società e delle sue ambizioni.

Downtown Divas // ©Gigi Ben Artzi, Loral Amir
Credits Cover Photo // Mario Sorrenti