Folta chioma bianca, collana di perle e pelliccia di visone. Sono questi gli elementi distintivi che caratterizzano una vera “sciura”. Ma siamo davvero sicuri che un po’ di lacca per capelli ed un buon conto in banca possano bastare? Queste signore, dotate di una classe e di uno stile innati, stanno facendo impazzire il web ed ormai lo “snob appeal” è diventato un must have.
Letteralmente il termine significa “signora” in dialetto Milanese.
Se dapprima la parola era utilizzata per descrivere le donne sposate, col tempo il termine ha assunto una nuova accezione legata ad un particolare stile di vita.
La sciura ha superato i sessanta, abita in centro e conduce una vita mondana; è solita frequentare i migliori salotti Milanesi e spesso si reca in parrocchia. Si ritrova al bar con le amiche per bere un caffè o mangiare un pasticcino.
Il suo stile è impeccabile ed affascinate, piace perché è elegante e discreto. Eppure risulta impossibile imbattersi in una sciura e non sentirsi calamitati dal suo stile glamour retrò, capace di catapultarci in un passato non molto lontano, quando un paio di mani dalle unghie laccate di rosso facevano perdere la testa ad imprenditori e non.
La Sciura ha i capelli sempre in piega, i toni da lei prediletti sono: il grigio, il bianco ed il “biondo milanese”. E’ intrigante ed ama indossare capi vecchi e nuovi, non importa, basta che essi siano rigorosamente griffati. La cura per i dettagli è una caratteristica fondamentale delle sciure: gioielli, trucco, occhiali da sole, guanti; sono solo alcuni degli accessori che reputa fondamentali per catturare l’attenzione di chi la osserva distrattamente. Essa si circonda di un’allure fresca ed inconfondibile, il suo “snob appeal” è capace di irretire chiunque; impossibile resisterle.
Ebbene, un giorno queste belle signore impellicciate che indossano vistosi occhiali da sole, si estingueranno. Noi non potremmo più farci inebriare dal loro pungente profumo quando le supereremo correndo con le buste della spesa in mano nel vano tentativo di non perdere il tram. Ma non è detta l’ultima parola: lo snob appeal fa tendenza ed influenza, ad oggi, le più famose case di moda. Marc Jacobs, Vetements e la “sciura”della moda per eccellenza: Miuccia Prada, si sono fatti stregare dall’affascinate universo delle signore per bene, e hanno giocato con questo stile che può essere descritto sinteticamente come un mix di elegante e classico bon ton.
Il personaggio urbano più affascinante dell’ultimo periodo piace a tal punto che è stato creato un profilo su Instagram, “sciuraglam”, dove è possibile scorgere centinaia di sciure, immortalate nel loro habitat naturale e nelle loro pose più caratteristiche. Tra le varie sciure ce n’è una che si contraddistingue tra tutte: Cecilia Matteucci Lavarini, su Instagram si descrive come collezionista di costumi orientali e di abiti Haute Couture, per noi è la perfetta via di mezzo tra la figura della Sciura e la fashion blogger.

Credits Sciuraglam

Credits Sciuraglam

Credits Sciuraglam

Credits Sciuraglam

Credits Sciuraglam

Credits Sciuraglam

Credits Sciuraglam

Credits Sciuraglam

Credits Sciuraglam

Credits Sciuraglam

Cecilia Matteucci Lavarini

Prada Fall 2015 – snob appeal

Vetements Fall 2017 – snob appeal

Marc Jacobs Pre Fall 2018 – snob appeal
Lo snob appeal fa tendenza, ma non è certo una novità. Cosa è esattamente?
Lo snob appeal può essere descritto come un modo di abbigliarsi che “comunica lo status in maniera silenziosa, ma effettiva” (da Randall, 1956). Nasce nell’immediato secondo Dopoguerra, quando alcune aristocratiche italiane decisero di dedicarsi alla moda. Due sono i poli che vedono lo sviluppo della tendenza snob appeal: Roma e Milano.
Il legame tra moda e nobiltà si consolida in quegli anni anche grazie alla stampa.
Irene Brin (al secolo Maria Vittoria Rossi) è stata una delle giornaliste di moda e costume tra le più apprezzate di quel periodo, e operando per circa trenta anni, ha offerto una visione della società del tempo in tutte le sue sfaccettature.
Tra le signore della moda, troviamo la figura di Gabriella di Robilant, regina dello sportswear. Discendente dei conti de Bosdari, la Robilant nacque a Firenze e dopo aver sposato Andrea di Robilant, erede dei Mocenigo, si trasferì a Venezia. Chanel e Patou sono stati i suoi grandi maestri, dai quali dichiarò di aver appreso “la scienza del vestire”.
Si separò dal marito e decise di donarsi alla moda. Incominciò a far realizzare dalle sarte Veneziane degli abiti molto semplici, di una spiccata praticità, estremamente sportivi. Nel 1931 fu invitata a presentare i suoi modelli a Milano, da Nicky, nota profumeria Meneghina. I suoi modelli, molto diversi dall’haute couture proposta dalle sartorie dell’epoca, piacquero a tal punto che la creatrice di moda decise di fondare il suo atelier in via Santo Spirito. Nacque “Gabriellasport”. Nel 1942 la Robilant rilevò la sede romana della sartoria Ventura, in piazza di Spagna, dove lavorava Madame Anna, direttrice della sartoria dagli anni venti. La signora Anna viene descritta dalla Robilant come una vera e propria sicura: “Era una donna molto piccola, arrampicata su alte suole ortopediche, sempre vestita di nero e con tre file di perle di Maiorca al collo, I capelli erano bianchi e pettinati alla moda, alti sulla testa e raccolti in una reticella nera che spuntava dal retro di un elegante cappellino a tamburello: Eran nata in Olanda e diceva di avere ottant’anni”. (da MODA Sofia Gnoli)
Tra le nobildonne romane che decisero di dedicarsi alla moda ricordiamo Simonetta Colonna di Cesarò, moglie del Conte Galeazzo Visconti (dal quale si separò in seguito). Gli abiti della sua prima sfilata furono così descritti dalla Brin “trovate dalla povertà ingegnosa”. La contessa, infatti, a causa della scarsità dei tessuti, fu costretta ad utilizzare corde, nastri, stracci e grembiuli da giardino. Gli abiti della Simonetta affascinavano per la loro semplicità e per i dettagli che non lasciavano indifferenti neanche famose star internazionali come la Hepburn e Jacqueline Kennedy che scelsero di indossare le sue creazioni.
Giovanna Caracciolo Ginetti di Avellino aprì con la collega contessa Barbara Rota Angelini Desalles, lo storico atelier Carosa, a Roma , nel 1947. Grazie alla sartoria Carosa la moda italiana acquisì grande fama a livello internazionale, tanto da divenire una delle sartorie più frequentate dell’alta società a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta.
Da non dimenticare la principessa russa Irene Galizine. Grande amante della moda francese, lavorò agli esordi con le sorelle Fontana, facendo la modella, per poi aprire una sua sartoria. Dobbiamo a lei l’invenzione del “pijgiama palazzo”. Comodo ed elegante, questo nuovo capo di vestiario fu indossato da Liz Taylor, Monica Vitti, Claudia Cardinale e tante altre, diventando un pezzo iconico della vita mondana degli anni sessanta.
A Milano a dettare moda furono le signore Jole Veneziani e Germana Marucelli.
La Veneziani nacque a Taranto da una famiglia di buona borghesia, nel 1937 aprì un laboratorio di pelli per pellicceria. Pur sentendosi affascinata dalla moda francese, se ne distaccò, creando una linea estremamente moderna: “Veneziani Sport”, che ebbe un impatto molto forte sul mercato americano. Jole Veneziani captò le esigenze dei compratori oltreoceano che cercavano qualcosa di pratico. Il suo impermeabile del 1951-52 fu senz’altro il modello più ambito, ciò nonostante la pelliccia rimase il suo elemento distintivo, costantemente presente nelle sue collezioni. La Veneziani viene descritta dalla giornalista Maria Pezzi come una “donna dalle mani paffutelle, ornate preziosamente di rosse perle e zaffiri”. Mani di un’eleganza innata che le fecero guadagnare l’appellativo di “zampa di velluto”. La Pezzi le ricorda sfiorare sensualmente contropelo le pellicce di zibellino.
Germana Marucelli, nata in Toscana aprì un atelier nel 1938 a Milano. La creatrice di moda viene ricordata sopratutto per le sue collezioni ispirate all’arte. Due delle sue più celebri, ad esempio, sono “Optical” e “Alluminio”realizzate in collaborazione con Getulio Alviani. La Marucelli sosteneva che l’abito dovesse racchiudere in se’ un po’ di tutte le arti: architettura, pittura, musica, scultura e poesia.
Altro storico atelier milanese, tutt’ora esistente è quello di Gigliola Curiel, che divenne famosa per i suoi abitini neri detti appunto “curiellini”, divenuti celebri tra gli anni ’50 ed il decennio a seguire. Attualmente la maison è gestita dalla figlia Raffaella Curiel ed è una delle tappe obbligate durante lo shopping della sciura milanese.
Ebbene, alla fine di questo percorso nella storia dello stile possiamo constatare l’innegabile quanto evidente connessione che lega le sciure, a quelle che un tempo furono le vere signore dello stile italiano. L’inventiva, la fantasia e la raffinatezza sono caratteristiche comuni ad entrambe. Le sciure sono le effettive eredi delle nobildonne italiane che decisero di dedicarsi alla moda in un momento difficile, quando c’era bisogno di riportare la bellezza in voga. Allo stesso modo, oggi, le signore della “Milano bene” si fanno carico di un compito importante: diffondere la “classe” in un periodo storico in cui a dettar legge non è certo l’eleganza.

Irene Brin

Simonetta Colonna di Cesarò

Abito Gabriella di Robilant

Irene Galitzine indossa il suo “pijgiama palazzo”

Jole Veneziani

Germana Marucelli e Getulio Alviani

Gigliola Curiel, abito “curiellino”